Il nostro amore schifo
Biografia della peste
Morsi a vuoto
Nomen omen: mai espressione proverbiale fu tale come in questo caso.
L’amore è una mania da cui non ci si libera facilmente. Per fortuna, se esso funziona come detonatore di una strategia capace di articolare corrosivo divertimento e sapido disincanto. Gli attori/autori in questione (il pugliese Francesco D’Amore e la siciliana Luciana Maniaci, cresciuti, dopo essersi incontrati alla Scuola Holden, alla munifica scuola di Gabriele Vacis) sono la prova più convincente che una vocazione alla drammaturgia, una fiducia ostinata nelle risorse del testo, è, nella cultura teatrale italiana, un dato ormai acquisito in modo ineludibile.
C’è sempre un’attesa nella competence interpersonale tra Luciana e Francesco. Qualcuno che arriva e qualcuno che rimane sulla soglia, perplesso, curioso, impaziente.
Una discontinuità si impone, per via di trasgressioni insistite, come segno tangibile dell’«eccellenza» di questo duo, essa risiede nel porsi sino in fondo il problema della sospensione del tragico nel clima della scena contemporanea. È questa la cifra caratteristica della compagnia. Non che altri gruppi non si siano confrontati altrettanto coerentemente col medesimo problema, e in special modo in un milieu meridionale, tuttavia la differenza sta nel fatto che molti vivono in una sorta di irriflessa consuetudine con lo spaesamento, come se il persistere di una zona grigia, che la fine del dramma moderno perpetua nel post-drammatico, fosse diventata una condizione di insistito, e quasi abitudinario, disagio. I Maniaci, invece, appartengono a una generazione che non può fingere confidenza con il retaggio di questa zona grigia.
Essi dichiarano l’inanità di qualsivoglia terapia, sanciscono, nella dialettica più emblematicamente codificata dei ruoli, l’infernale coazione a ripetere di una quotidianità sgualcita dall’irredimibile irriconoscenza del maschile e del femminile.
Autore | Maniaci d'Amore |
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Formato | |
ISBN | 978-88-97276-66-1 |
Pagine | 124 |